Giuseppe Abbati

Giuseppe Abbati
Nascita13 gennaio 1836
Morte21 febbraio 1868
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Ritratto di Giuseppe Abbati (1865) di Giovanni Boldini.

Giuseppe Abbati (Napoli, 13 gennaio 1836Firenze, 21 febbraio 1868) è stato un pittore e patriota italiano.Categoria:Pittori italiani del XIX secoloCategoria:Patrioti italiani del XIX secoloCategoria:Nati nel 1836Categoria:Morti nel 1868Categoria:Nati il 13 gennaioCategoria:Morti il 21 febbraioCategoria:Nati a NapoliCategoria:Morti a FirenzeCategoria:BioBot

Biografia

Figlio del pittore Vincenzo e di Francesca Romano, segue la famiglia prima a Firenze nel 1842 e poi a Venezia dal 1846 al 1858, dove forma la propria cultura artistica sia sotto la guida del padre, che frequentando dal 1850 al 1853 l'Accademia di Belle Arti di Venezia con i maestri Michelangelo Grigoletti e Francesco Bagnara; qui conosce i pittori Vito D'Ancona e Telemaco Signorini in viaggio di studio[1].

Nel 1858 la famiglia Abbati è nuovamente a Napoli, dove l'anno dopo Giuseppe espone alla mostra del Reale Museo Borbonico il dipinto La Cappella di San Tommaso d'Aquino in San Domenico Maggiore e conosce i pittori Bernardo Celentano e Domenico Morelli. Nel 1860 si unisce alla Spedizione dei Mille e perde un occhio a Capua nella battaglia del Volturno, rifiutando successivamente la Medaglia al Valore.

Alla fine di quell'anno si trasferisce a Firenze, frequentando il ritrovo artistico del Caffè Michelangiolo insieme con gli artisti macchiaioli della cosiddetta Scuola di Pergentina (nota anche come Scuola di Piagentina) Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani, Domenico Caligo, Vito D'Ancona, Serafino De Tivoli e il critico, collezionista e mecenate, Diego Martelli; del 1861 è il dipinto Il chiostro di Santa Croce, esposto alla Promotrice fiorentina[2].

Nel 1863 alle Promotrici di Torino e di Firenze espone dipinti eseguiti "en plein air", al modo proprio dei macchiaioli nei pressi di Castiglioncello, nella tenuta di Diego Martelli: Dintorni di Firenze, L'ora del riposo, Arno presso Firenze, Motivo presso Castiglioncello, Ulivi del Monte alle Croci; nel 1864, a Brera, presenta Il lattaio di Piagentina.

Partecipa nel 1866 alla III Guerra di Indipendenza, arruolandosi volontario bersagliere; viene fatto prigioniero nella battaglia di Custoza e internato in Croazia.

Rientrato a Firenze nel dicembre del 1866, nel 1867 si trasferisce nella tenuta di Diego Martelli a Castelnuovo della Misericordia.

Il 13 dicembre 1867 viene morsicato dal proprio cane Cennino. Morirà 39 giorni dopo per idrofobia all'Ospedale di Firenze a soli 32 anni.

Viene sepolto nel Cimitero delle Porte Sante di Firenze.

I Macchiaioli

Stradina al sole, 1863, Milano, collezione Jucker
La finestra Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti a Firenze

È a Firenze che si sviluppa, fra il 1850 e il 1860, il più importante movimento artistico dell'Ottocento italiano, quello dei macchiaioli, che si propone di promuovere, contemporaneamente al rinnovamento politico, la cultura pittorica nazionale. La poetica macchiaiola è realista, sulle orme di Courbet e della scuola di Barbizon, si oppone al Romanticismo e al Purismo accademico e sostiene che l'immagine del vero è un contrasto di macchie di colore e di chiaroscuro e la quantità di luce muta il tono ma non la sostanza dei colori, che sono la luce e l'ombra dell'immagine: gli oggetti rappresentati sono il risultato della sensazione primaria dell'osservatore, che è sensazione di luce e di ombra colorata.

In queste rappresentazioni si vuole necessariamente escludere tanto l'emozione soggettiva del pittore che, interferendo nel fare artistico, produrrebbe effetti non naturalistici dando luogo, nella storia dell'arte, a una pittura sentimentale, aneddotica, eroica, celebrativa, dunque a una pittura non realistica, quanto la riflessione intellettualistica dell'artista che costruisce immagini fondate a priori su un disegno prospettico, elaborato nella bottega; la pittura accademica, infatti, prima disegna vari oggetti, che poi connette e colora; per i macchiaioli, invece, il disegno si mostra a posteriori, è cioè il risultato della connessione delle macchie di colore sul piano della tela.

Il contributo dell'Abbati sta nell'

«Indagare en plein air luci e ombre nell'infinito ventaglio delle sfumature dei colori" nei "paesaggi di Maremma, i cui limiti sono orizzonti di cielo e i soggetti elementi di natura solitaria, laddove gli spazi - luce si ingrandiscono e la materia si appiattisce fino a far trasparire le venature della superficie dipinta.»
«In Abbati la fissazione della luce nella macchia è molto accentuata; ma per questo mezzo, nei momenti più felici, egli riesce a rendere l'impressione di una grave stasi, pacata e lenta; e nello stesso tempo - giacché i suoi colori sono belli anche qualitativamente - a raggiungere un equilibrio prezioso e decorativo.»

Opere

Baia a Caletta (1863)

Note

  1. A. Mezzetti, Giuseppe Abbati, su treccani.it, 1960. URL consultato il 21 novembre 2015.
  2. Interno del Chiostro di Santa Croce, su uffizi.it. URL consultato l'11 maggio 2020.

Bibliografia

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